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Intervista con Carlo Pinchetti

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view post Posted on 11/3/2021, 11:22
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Intervista con Carlo Pinchetti

Carlo Pinchetti, cantautore originario di Lecco e trapiantato a Bergamo, pubblicherà il prossimo 14 aprile, per Gasterecords, La stalla domestica e Moquette Records, "Una meravigliosa bugia", il suo primo album solista. Il disco - registrato nel suo studio casalingo dallo stesso Pinchetti e mixato/masterizzato da Pierluigi Ballarin (The Record's) all'”Unnecessary Recordings” di Bologna - vede la partecipazione di: Gigi Giancursi (ex Perturbazione), lo stesso Pierluigi Ballarin, Marco Brena (Vanarin), Elena Ghisleri, Linda Gandolfi e denota una certa maturità artistica, valorizzata al meglio dalle esperienze accumulate in 10 anni di presenza sulla scena, passati scrivendo, suonando e cantando in diversi album indie pop con gruppi come Lowinsky, Daisy Chains e Finistère. Ecco cosa ci ha raccontato l’artista nell’intervista gentilmente rilasciata…

E’ vicina l’uscita del tuo album, “Una meravigliosa bugia”. Il disco ha avuto bisogno di una lavorazione lunga o è nato abbastanza velocemente?
È stata una lavorazione relativamente rapida, era il periodo in cui eravamo tutti rinchiusi in casa e ogni volta che prendevo in mano la chitarra saltava fuori una canzone. Poi la fase di registrazione, trattandosi fondamentalmente di un disco chitarra e voce, è stata semplice e agile.

Il lockdown, il Covid.19… Hanno cambiato un po’ il modo di lavorare di preparazione ad un album?
Il lockdown mi ha spinto e costretto a fare una cosa che mi prefissavo da tempo ma non avevo mai realizzato, un disco da solo chitarra e voce. Quindi sì, ovviamente la cosa è stata molto diversa da lavorare con una band e un produttore in uno studio.

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In qualche modo, sono confluite nell’album anche le tue tante esperienze musicali maturate negli anni?
Senza dubbio, in fin dei conti siamo tutti la somma delle nostre esperienze precedenti. In un certo senso questo disco è la naturale evoluzione di un paio di pezzi dell’ultimo Lowinsky.

Oggi, a dispetto magari degli scorsi decenni, un album può essere preparato con mezzi tecnologici oltre che con la propria presenza. Bisogna saper calibrare tecnologia e manualità?
Dipende dalle tue intenzioni e dalle tue velleità. Il bello dell’epoca attuale è che effettivamente puoi cavartela benissimo in maniera autonoma e semplice. Ciò non toglie però che, per realizzare certi dischi, devi per forza passare da chi sa veramente dove mettere le mani, i produttori bravi non passeranno mai di moda.

C’è un filo comune che lega i brani del tuo album?
Credo di sì, sono un insieme di emozioni mediamente negative che si concatenano e vengono buttate addosso all’ascoltatore. Una sorta di seduta melodica di psicanalisi.

Tanti anni di attività, permettono di affrontare la preparazione di un album, con maggior sicurezza e tranquillità?
Senza dubbio, più registri, più assorbi trucchi e abilità. Lo stesso vale per la scrittura.

A proposito, come trovi sia cambiato il mondo della musica dai tuoi esordi ad oggi?
Non è cambiato molto, l’unica differenza è che 15 anni fa quando parlavi di “indie” eri certo che si trattava di qualcosa rivolto orgogliosamente alla nicchia. Ora invece sembra che si utilizzi l’etichetta “indie” per dischi che sono una sorta di ricontestualizzazione di Venditti e Dalla. O addirittura per identificare musicisti che vanno a Sanremo, l’apoteosi del mainstream da classifica e da soldi. Semplicemente “indie” è un termine (e un’attitudine) che è stato completamente svuotato di significato, il che è un vero peccato.

Quali sono gli artisti che più ti piacciono?
Troppi da elencare, ti farò solo due nomi, uno classico: Paul Westerberg, e uno nuovo e oscuro: White Lighters/Brandon Setta.

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Che cosa significa per un artista potersi esprimere liberamente al 100%?
Non si è mai veramente liberi, ci sono sempre dei confini all’interno dei quali si è costretti a rimanere. L’unica cosa che si può fare è provare a fare quello che ci si sente, fingendo di non essere condizionati. È una banalità forse, ma cosi è.

L’aspetto “live” del tuo lavoro, quanto ti piace?
Mi piaceva moltissimo, per anni ogni fine settimana sono stato in giro a suonare, ora sto malissimo a pensare che non si suona da mesi e chissà quando si potrà riprendere. Mi manca persino il load degli strumenti…

Per un autore, quanto è importante saper cogliere e sintetizzare quanto gli sta attorno?
È importante se vuoi raccontare quello che ti sta attorno, se invece vuoi raccontare quello che hai dentro, devi fare un percorso diverso, come nel mio caso. In questo disco non racconto storie, non faccio commenti socio-politici, esterno emozioni, ho provato a trasmettere sensazioni.

La musica negli anni attuali è anche immagine… c’è il rischio che questa finisca con l’oscurare le varie composizioni?
Non ascolto mai band o musicisti “brutti”, secondo il mio gusto, ovviamente. Non esiste un canone a cui attenersi, non per me. La cura dell’immagine è però a mio parere un tutt’uno con la creatività, con la volontà di comunicare. Ovviamente poi ci sono le estremizzazioni commerciali, i talent, e quelle schifezze, ma mi interessano talmente poco che va bene così.

Ti piacerebbe scrivere una colonna sonora?
Mi piacerebbe scrivere delle canzoni per un film, certamente, sarebbe un’esperienza bellissima. Non so però arrangiare più strumenti o scrivere sul pentagramma, in questo caso consiglierei di rivolgersi al mio amico Marco Parimbelli, noto ai più per essere stato l’anima dei Verbal.

Per un futuro migliore, la musica ha bisogno di…
Di fare tabula rasa di tutto.

CARLO PINCHETTI sul Web:
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