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Intervista con gli Arbe Garbe

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view post Posted on 1/12/2008, 11:43
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Intervista con gli Arbe Garbe

Di Andrea Turetta

Gli Arbe Garbe nascono nel 1994 col preciso intento di infrangere la barriera folkloristica che circonda la musica popolare per ricreare un identità spuria, che assecondi l’inevitabile evoluzione che da millenni porta al mescolamento delle tradizioni e dei popoli. I testi sono prevalentemente in lingua friulana e beneciana (minoranza slovena del Friuli orientale) ma anche italiana e spagnola e si rifanno all’immaginario crudo, poetico, acido, e antiautoritario della band. Il loro nuovo progetto discografico s’intitola “Bek”. In contemporanea con il disco, esce un libro che è un diario di un loro viaggio on the road, in Argentina e Urugay insieme a Tre Allegri Ragazzi Morti… Ecco l’intervista…

Siete nati nel 1994. Da allora ad oggi come trovate sia cambiata la musica e particolarmente quella popolare e legata alle tradizioni?
Il periodo in cui siamo nati? Erano gli anni delle Posse, e di gruppi come Mau Mau, Africa Unite, Disciplinatha, Csi, Usmammò, Casinò Royale, Kenze Neke, solo per citarne alcuni. Erano i primi gruppi che utilizzavano come ricchezza anche le lingue locali o i dialetti. Alcuni di questi, tra cui noi, prendevano ispirazione anche dalle musiche tradizionali delle loro zone per le composizioni. Sono stati anni piuttosto interessanti, che davano la percezione di un grosso fermento, sembrava che qualcosa stesse uscendo dall’ “underground”. Poi forse qualcosa è cambiato, e quel movimento si è andato spegnendo, o forse ha solo perso visibilità. A noi pare che oggi la scena italiana avrebbe bisogno di qualche idea e di qualche stimolo musicale in più, o forse è solo che stiamo diventando dei vecchi brontoloni.

Come si lega il Friuli alle vostre composizioni?
Siamo nati dentro la scena culturale friulana, nel periodo in cui molte realtà riprendevano la lingua come uno strumento di arricchimento. In via Volturno, a Udine, da un lato della strada c’era radio Onde Furlane, dall’altro il centro sociale autogestito, ora soppiantato dal nuovo palazzo della Regione. Erano i due poli di un movimento in cui ci riconoscevamo, in cui si parlava di remescolii linguistici, di identità aperte, solidarietà, di Pasolini e di indiani d’america. Il Friuli ci ha dato numerosi stimoli, è una terra che amiamo nelle sue contraddizioni, nelle sue mille parlate, nelle sue mille diversità. Qualcuno lo definì un piccolo compendio dell’Universo. Noi crediamo sia un po’ vero.

“Bek” non è solo un disco ma fa parte di un progetto più ampio, ce ne potete parlare?
Bek è un punto di passaggio. In questi anni abbiamo girato parecchio, dall’Argentina all’Australia. Siamo momentaneamente tornati a casa prima di ripartire verso altre mete. In questo disco abbiamo concluso un periodo che non è stato tra i più semplici. Ricercando nuove energie per ripartire, abbiamo pensato di registrare questo pezzo un po’ travagliato della nostra storia. I periodi travagliati sono sempre di preludio a forti cambiamenti, l’importante è fermarsi a fare un riassunto di quanto è accaduto per poi capirci qualcosa. Durante la preparazione del disco abbiamo chiesto agli amici di regalarci un disegno per farne una copertina. Ce ne sono arrivati moltissimi, è stato come fare il pieno di energie per ripartire. La cosa ci ha riempiti al punto che stiamo già lavorando sul nuovo disco che sarà indubbiamente meno “intimo” di questo, che è cantato interamente in friulano. Nel prossimo disco ci sarà un arcobaleno di musiche e lingue. Sarà un disco molto solare.

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view post Posted on 1/12/2008, 11:45
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Quali sono stati i percorsi che vi hanno condotto a formare la vostra band?
Ci verrebbe da dire che la nostra band è nata per distillazione. Abbiamo cambiato numerosi elementi in questi anni. Alcuni componenti preziosi se ne sono andati, altri, preziosissimi, sono arrivati a dare il loro apporto. Come nella distillazione abbiamo spesso trovato spiriti sottili e liberi. Negli anni abbiamo avuto sempre la fortuna di incontrare persone che sapessero capire questo progetto entrandoci integralmente, come se fosse stato ideato da loro. Per noi questo è fondamentale perché il sapore della nostra “erbaccia amara” si arricchisce solo col contributo di tutte le parti.

Quanto conta la musica nella vostra vita?
Sempre di più. La musica ci ha cambiato radicalmente. Ci ha permesso di esprimerci, di raccontare storie, di viaggiare, di conoscere il mondo da prospettive che non avremmo mai incrociato altrimenti. E’ anche una grande fatica, perché nessuno di noi vive ancora al cento per cento di musica, ma è una fatica che riempie e gratifica: forse è l’esperienza di vita più importante per ognuno di noi.

I giovani artisti quanto hanno da imparare dai loro predecessori?
Beh, dipende dai giovani artisti. Noi ci consideriamo piuttosto degli artigiani della musica. La parola artista ci sembra forse eccessiva. Per quanto ci riguarda le ispirazioni sono venute da gruppi come i Pogues, i Dubliners o i Wiskey Priests, che hanno utilizzato in maniera eccelsa le loro musiche tradizionali. In regione ci siamo riagganciati ai vecchi gruppi di cantautori popolari come il Canzonîr di Dael o il Povolar Ensamble, gente che traduceva Brassens in friulano negli stessi anni in cui in Italia lo faceva De Andrè. E se si vuole continuare con gli insegnamenti, molto ci ha insegnato il punk con band fantastiche come Ramones, Violent Femmes, Clash o Mano Negra.

Quanto tempo c’è voluto per realizzare il vostro album progetto legato a “Bek”?
Come già anticipato, la preparazione è andata avanti due anni circa, durante un periodo non proprio tranquillo per il gruppo. La realizzazione invece è stata velocissima: due giorni in montagna a fare le prese dei suoni in un teatro comunale, poi via a Milano per il missaggio da GG Galmozzi, fonico dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Insomma, gestazione lunga e sofferta, parto veloce. Forse avremmo dovuto chiamare il disco Elefant, piuttosto che Bek – capretto.

Passando ai testi… molti gruppi danno importanza soprattutto al lato musicale della canzone. Voi sembra invece rivalutiate il valore del testo… solo un’impressione?
No, assolutamente, hai centrato il punto. Ci rifacciamo per quanto possiamo alla tradizione dei canzonieri popolari e dei cantautori e, in fondo, ci piace pensare di essere dei cantastorie. Siamo stati molto attivi socialmente, soprattutto nei primi anni di attività. Abbiamo suonato in mille contesti diversi, dai manicomi ai centri per gli anziani, ai carceri, agli ospedali occupati, dal Kosovo appena bombardato alla Serbia sotto stato di polizia. Ci confrontiamo molto su quello che facciamo e quello che cantiamo, abbiamo bisogno di essere tutti convinti e consapevoli. Abbiamo una nostra visione comune e ottimistica delle cose, e di questa suoniamo e cantiamo cercando di stimolare corpi, menti e anime di coloro che ci ascoltano.

Oggi i giovani si sentono spesso in un clima di precariato. Succede anche a chi fa musica?
Certo, anche perchè fare musica, soprattutto dalle nostre parti, non è così facile. Spesso mancano i contesti in cui proporla. Nella vicina Slovenia ogni paesino offre ai ragazzi appositi spazi in cui suonare oppure organizzare concerti. In questo gli viene data totale autogestione e fiducia. E’ una cosa importante, perché porta a sviluppare qualità di ascolto musicali e responsabilità che noi neppure ci immaginiamo.
La cosa che ci affascina di più della ex Yugoslavia, almeno per quanto abbiamo potuto constatare noi, è l’attenzione che la gente ti concede quando suoni: si tratta di un ascolto attento e critico. Noi invece viviamo in un paese dove è difficile trovare spazi per suonare, come è difficile trovare contesti di socializzazione spontanei e svincolati dal mercato. E’ una situazione che alla lunga rischia di portare ad sorta di analfabetismo musicale ed emotivo. A volte abbiamo la sensazione che la gente invece di essere interessata e stimolata dalle novità musicali, ne sia impaurita, e scappi via per timore di quello che sta ascoltando. A questo punto sorge la domanda: e se fosse che la forte imposizione di musica dall’alto porti inevitabilmente ad una condizione di precariato musicale nel basso?

Quanto contano la sincerità e la naturalezza, quando si fa un disco?
Dipende dalle intenzioni. Un disco può essere un prodotto molto sincero e sentito artisticamente, ma anche un prodotto meramente commerciale fatto per incamerare quattrini. Crediamo che la differenza tra i due sia piuttosto percepibile, ma solo a patto di aver sviluppato il senso critico necessario a filtrare i riflessi abbaglianti di tanti specchietti per le allodole. Crearsi un filtro critico adeguato è però un processo personale lungo e progressivo.
Se non c’è abitudine all’ascolto critico della musica, si finisce col non distinguere l’ultima tavanata americana da Rossini. Prendiamo per esempio una cosa apparentemente naturale come il mangiare: se sei abituato a scofanarti hamburger, finisci col rifiutare il sapore di un pomodoro appena colto perché non riesci a capirlo. Disintossicarsi da certi sapori chimici è un lavoro piuttosto lungo, crediamo lo stesso valga per le intossicazioni musicali.

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view post Posted on 1/12/2008, 11:46
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Le canzoni del disco sono nate così, oppure hanno avuto bisogno di più stesure?
Le nostre canzoni stanno nascendo sempre di più da un lavoro comune. Quelle di BEK sono invece state arrangiate a più riprese. Due pezzi, erano già presenti in dischi precedenti, ma non ci avevano mai soddisfatto del tutto. E’ una nostra vecchia abitudine, quella di rimettere mano su brani che non siamo riusciti a fare rendere al cento per cento la prima volta, una sorta di assistenzialismo musicale con cui cerchiamo di salvare quanto possiamo dalle nostre creazioni meno riuscite. Riarrangiamo costantemente la nostra musica, soprattutto quando qualcosa non funziona come vorremmo. E’ un lavoro lungo e progressivo, ma ci siamo dati tempo.

Quando conta nella vostra musica l’originalità… mi sembra infatti che al contrario di tante altre band, non vi ispiriate più di tanto alla musica americana o inglese?
Il rock è il vaccino di questa incredibile esplosione di progresso che ha caratterizzato gli ultimi cinquant’anni di storia occidentale. E’ impossibile fare musica moderna senza tener conto di queste influenze, e queste influenze sono inglesi e americane, afro - americane. Noi cerchiano di utilizzare il rock come un canovaccio su cui appoggiare l’espressione musicale che ci è propria, un linguaggio internazionale con cui esprimere la nostra particolare visione del mondo e dell’umanità.

Per arrivare ad incidere questo nuovo lavoro avete dovuto bussare a tante porte?
No, ad una sola: a quella di Robertino, il nostro chitarrista, a cui avevamo affidato la cassa comune, e che nel frattempo si era barricato in casa per non sganciare una lira. Dopo una lunga trattativa condita da qualche vigorosa minaccia, ha mollato il gruzzolo e abbiamo potuto registrare il cd.
Scherzi a parte, fino ad ora ogni disco, e con questo sono cinque, lo abbiamo prodotto di tasca nostra. L’autoproduzione è stata decisamente funzionale per noi, una via forse un po’ più difficile da seguire, che ti permette però di avere la necessaria indipendenza per fare, sbagliare, imparare senza dover tener conto a nessuno. Fino ad ora ha funzionato. In futuro si vedrà.

C’è qualche consiglio da dare alle giovani band?
Divertitevi e credete nei vostri mezzi. Abbiamo bisogno di gente entusiasta con idee nuove.

Siete soddisfatti di quanto state raccogliendo con questo vostro disco?
Sì, certamente, anche se per noi la dimensione dal vivo rimane ancora quella preferenziale. Ai nostri concerti capita spesso che il pubblico si scateni ballando come un corpo unico assieme a noi ed alla nostra musica. Suonare del vivo e scatenare tanta energia è la cosa che ci ricarica e ci gratifica di più. Il 5 dicembre presenteremo il disco alla Scighera di Milano in compagnia di Davide Toffolo e di Aleksandar Zograf, due amici che sottolineeranno la musica coi loro disegni. Forse dopo quella data potremmo rispondere meglio alla tua domanda.

DISCOGRAFIA

DEMO (1995)
Produzione “Tra il dì e il fà”

JACUME! (2000)
Produzione “Tra il dì e il fà / UPR Folkrock”

IUBILAEUM (2004)
Produzione “Tra il dì e il fà / Musiche Furlane Fuarte”

LIVE IN FESTINTENDA (2006)
Produzione “Tra il dì e il fà / Musiche Furlane Fuarte”

BEK! (2008)
Produzione “Tra il dì e il fà / Musiche Furlane Fuarte”

Siti Ufficiali:

www.arbegarbe.com
www.myspace.com/arbegarbe

Si ringrazia per la cortese collaborazione Lunatik

www.lunatik.it

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